Tra mare e cielo
A Macari si giunge attraversando quella che è la “porta” di San Vito, ovvero Castelluzzo, dove, intorno alla via principale sulla quale si aprono le attività ricettive e commerciali, il territorio rurale è coltivato essenzialmente ad uliveti, caratteristici di tutto l’agro ericino. Qui, tra piante relativamente recenti, magnifici alberi secolari producono olive dalle quali si ricava un olio extra vergine che deve le proprie peculiari caratteristiche organolettiche, oltre che alla mineralità del terreno, al vento che, dal mare, porta l’aria salmastra ad arricchirne il gusto e le benefiche proprietà.
È quest’olio pregiato che condisce le pietanze proposte da locande, ristoranti e pizzerie del luogo, e a cui, in agosto, è dedicata la manifestazione “Bagli, olio e mare” dove è possibile gustare piatti tipici esaltati da quello che è il “principe” dei condimenti.
Da Castelluzzo, si continua su un lungo rettilineo costiero che porta a San Vito Lo Capo, passando da Macari. Qui si susseguono, sul mare, cale di ciottoli, scogliere e spiagge sabbiose come quella denominata “Baia Santa Margherita” – anticamente “A rina ‘i Màkari” (La sabbia di Màkari, in siciliano) –, seguita dalla splendida caletta del Bue Marino, per proseguire con alte falesie su una delle quali, a chiudere virtualmente il golfo di Macari, troneggia l’antica torre d’avvistamento dell’Isuliddra.
Tra mare e cielo
A Macari si giunge attraversando quella che è la “porta” di San Vito, ovvero Castelluzzo, dove, intorno alla via principale sulla quale si aprono le attività ricettive e commerciali, il territorio rurale è coltivato essenzialmente ad uliveti, caratteristici di tutto l’agro ericino. Qui, tra piante relativamente recenti, magnifici alberi secolari producono olive dalle quali si ricava un olio extra vergine che deve le proprie peculiari caratteristiche organolettiche, oltre che alla mineralità del terreno, al vento che, dal mare, porta l’aria salmastra ad arricchirne il gusto e le benefiche proprietà.
È quest’olio pregiato che condisce le pietanze proposte da locande, ristoranti e pizzerie del luogo, e a cui, in agosto, è dedicata la manifestazione “Bagli, olio e mare” dove è possibile gustare piatti tipici esaltati da quello che è il “principe” dei condimenti.
Da Castelluzzo, si continua su un lungo rettilineo costiero che porta a San Vito Lo Capo, passando da Macari. Qui si susseguono, sul mare, cale di ciottoli, scogliere e spiagge sabbiose come quella denominata “Baia Santa Margherita” – anticamente “A rina ‘i Màkari” (La sabbia di Màkari, in siciliano) –, seguita dalla splendida caletta del Bue Marino, per proseguire con alte falesie su una delle quali, a chiudere virtualmente il golfo di Macari, troneggia l’antica torre d’avvistamento dell’Isuliddra.
Non a caso, Macari rientra nei percorsi CAI, essendo transito tra due Riserve Naturali, quella del Monte Cofano e quella dello Zingaro: infatti, percorrendo interamente la salita denominata via dell’Acqua – così chiamata poiché porta ad una sorgente che tuttora approvvigiona il territorio – e continuando oltre la strada asfaltata, si giunge al Passo del Lupo, meraviglioso punto panoramico sotto il quale si apre lo spettacolo naturale dello Zingaro. Ancora una volta, parliamo di Paradiso, giacché questo è il territorio sanvitese, anche per gli amanti del trekking e del climbing.
Proseguendo sulla strada litoranea, lasciandosi alle spalle la torre Isulidda, sempre dal lato del mare si incontra la cappelletta di Santa Crescenzia, dedicata alla balia del Santo Patrono, il giovane Vito, approdato sulla costa di Egitarso – questo l’antico nome di Capo San Vito – insieme alla donna e all’istitutore, Modesto. I tre, in fuga via mare per sfuggire alla persecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano contro i cristiani, si ritrovarono qui a causa di una tempesta e trovarono riparo nel villaggio di Conturrana che sorgeva sotto una rocca, a poca distanza dalla costa. La leggenda racconta che i tre santi tentarono di convertire gli abitanti del luogo al cristianesimo e che il loro rifiuto di aderire alla nuova fede provocò la punizione divina che si materializzò in una frana che seppellì Conturrana, fermandosi esattamente nel punto in cui venne poi edificata l’edicola di Santa Crescenzia. Tuttavia quest’ultima, sempre secondo il racconto, trasgredì all’ordine di Dio di non voltarsi a vedere la punizione divina e, per lo spavento, divenne di pietra: da tale avvenimento, nacque la credenza popolare che per superare la paura occorra gettare pietre dentro la cappelletta.
Non a caso, Macari rientra nei percorsi CAI, essendo transito tra due Riserve Naturali, quella del Monte Cofano e quella dello Zingaro: infatti, percorrendo interamente la salita denominata via dell’Acqua – così chiamata poiché porta ad una sorgente che tuttora approvvigiona il territorio – e continuando oltre la strada asfaltata, si giunge al Passo del Lupo, meraviglioso punto panoramico sotto il quale si apre lo spettacolo naturale dello Zingaro. Ancora una volta, parliamo di Paradiso, giacché questo è il territorio sanvitese, anche per gli amanti del trekking e del climbing.
Proseguendo sulla strada litoranea, lasciandosi alle spalle la torre Isulidda, sempre dal lato del mare si incontra la cappelletta di Santa Crescenzia, dedicata alla balia del Santo Patrono, il giovane Vito, approdato sulla costa di Egitarso – questo l’antico nome di Capo San Vito – insieme alla donna e all’istitutore, Modesto. I tre, in fuga via mare per sfuggire alla persecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano contro i cristiani, si ritrovarono qui a causa di una tempesta e trovarono riparo nel villaggio di Conturrana che sorgeva sotto una rocca, a poca distanza dalla costa. La leggenda racconta che i tre santi tentarono di convertire gli abitanti del luogo al cristianesimo e che il loro rifiuto di aderire alla nuova fede provocò la punizione divina che si materializzò in una frana che seppellì Conturrana, fermandosi esattamente nel punto in cui venne poi edificata l’edicola di Santa Crescenzia. Tuttavia quest’ultima, sempre secondo il racconto, trasgredì all’ordine di Dio di non voltarsi a vedere la punizione divina e, per lo spavento, divenne di pietra: da tale avvenimento, nacque la credenza popolare che per superare la paura occorra gettare pietre dentro la cappelletta.